Focus sintomi e diagnosi
A proposito di diagnosi
Ogni diagnosi iniziale, principalmente descrittiva, rappresenta un "fare il punto della situazione" mentre si accolgono i vissuti del/della paziente. Essa è centrata sull'indagine del funzionamento cognitivo, emotivo e relazionale, sull'anamnesi medica, sulla storia familiare e personale, cercando di individuare oltre gli eventuali sintomi le aree che costituiscono potenziali risorse.
A volte si parte da una diagnosi già effettuata. Spesso c'è un sintomo che prevale su tutto il resto.
Altre volte invece, in psicoterapia, non c'è una precisa sintomatologia e nemmeno un disturbo, ma viene portato un problema esistenziale, magari una decisione da prendere, una difficoltà in un'area specifica dell'esistenza. In questi casi la "diagnosi" in senso forte - psicopatologico - resta sullo sfondo, ricordando che per tutti noi individuare vulenerabilità, risorse, modi di funzionare, automatismi, blocchi, resta, in senso lato, un atto diagnostico, ovvero un processo di consapevolezza.
Nel contesto di un percorso psicoterapeutico non si sottovaluta mai l'importanza di una diagnosi; in ogni caso per qualsiasi trattamento è necessario discriminare i casi trattabili, quelli non trattabili, quelli per i quali può essere più opportuno un diverso tipo di percorso. Per tutti c'è un' ipotesi di lavoro su cui - ricorsivamente - si torna piùvolte, sempre guardando il quadro d'insieme le dinamiche e i cambiamenti in atto nella personalità nel suo complesso.

C'è stato un ampio dibattito in psicologia analitica a proposito della diagnosi, a partire da Carl Gustav Jung che faceva sì diagnosi ma che poi basava i suoi interventi sull'irripetibile peculiarità del singolo individuo. La diagnosi, invece, essendo un'operazione mentale in cui si riconduce un fenomeno, o un insieme di fenomeni, a qualcosa di già noto, sembrerebbe intrinsecamente tradire lo scopo individuativo di un percorso personale. La mia posizione è: "non si può non fare diagnosi", nel senso che se non la facciamo consapevolmente è facile che la facciamo inconsapevolmente. Ma, altrettanto consapevolmente, è possibile "metterla da parte", lasciando spazio a ciò che di nuovo può emergere. Per un approfondimento ulteriore consiglio la visione del video ( qui di seguito il link) di questo intervento del Dr. Filippo Strumìa dell'AIPA - Associazione Italiana di Psicologia Analitica.

Il processo diagnostico si differenzia per scopi (ad esempio se in ambito giurido o terapeutico, per tipologia e per strumenti di valutazione.

Il quadro giuridico
Nel “Parere sulla diagnosi psicologica e psicopatologica” redatto dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi - CNOP (2009) si legge:
«L’art. 1 della Legge 56 del 18/2/1989 recita: “La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità”.
La giurisprudenza accredita questa posizione: la sentenza n. 767 del 5 giugno 2006 della Suprema Corte di Cassazione conferma, infatti, che ogni operazione funzionale a valutare caratteristiche psicologiche e/o psi- coattitudinali degli individui e che si perfezioni in affermazioni, profili o decisioni basati su tali caratteristiche «è riservata esclusivamente allo psicologo iscritto all’Ordine professionale [...] La diagnosi che gli psicologi possono attuare concerne anche la psicopatologia, come si evince dalle declaratorie dei settori scientifico-disciplinari da M-PSI/01 fino a M-PSI/08 del Decreto Ministeriale del 4 ottobre 2000 del Ministero dell’Università e della Ricerca, presenti nei percorsi formativi universitari dello psicologo (classe 34 e 58/S di cui al DM 509/99 e classe L24 ed LM51 di cui al DM 270/04)».

A proposito di sintomi
Cosa è un sintomo? Ed è qualcosa di immediatamente riconoscibile, che rimanda ad uno specifico disturbo? Prendiamo ad esempio uno stato ansioso intenso, con rimuginazioni incessanti. Cosa significa? Perché dicendo "ansia" o anche dicendo "depressione, ancora abbiamo detto troppo poco: l'ansia è un'ansia "generica", senza oggetto, come un'inquietudine che non sappiamo spiegarci? Oppure emerge solo in particolari contesti, come ad esempio quando abbiamo difficoltà ad addormentarci? La sintomatologia è recente, oppure ha una sua storia? Per caso abbiamo avuto in passato una diagnosi di ADHD? Abbiamo paure specifiche, come "la paura delle malattie"? Oppure diventiamo ansiosi quando ci aspettiamo di venire giudicati, come nel caso di un primo appuntamento? L'ansia è costante oppure intermittente? Ci obbliga a comportarci in modo da evitare situazioni che la scatenerebbero? Cerchiamo di sedarci in qualche modo, ad esempio con un bicchiere di troppo? Abbiamo paura dell'ansia stessa, come fosse un nemico invisibile che aspetta solo di aggredirci? E quando aggredisce è inaspettata come un terremoto o sale come una marea montante? Possibile che stiamo chiamando ansia una legittima paura di qualcosa che non ci decidiamo ad affrontare? Siamo in ansia perché il mondo sta cambiando troppo rapidamente rispetto al previsto (e al prevedibile)? L'ansia è il solo sintomo che abbiamo oppure si alterna, ciclicamente, a periodi di "depressione"? La depressione, a sua volta è costante, e se sì, da quanto tempo è lo stato mentale prevalente? Tale stato è correlato ad eventi specifici della vita oppure il tono dell'umore depresso è indipendente da ciò che accade? Potrebbe essere definita anche "stress"? E questo stress dipende dal troppo fare? E perché abbiamo lasciato che le nostre vite siano diventate così ingombre? Un, apparente, semplice sintomo, è già. un fenomeno complesso.
Difficoltà di concentrazione
Problemi di autostima
Procrastinazione
Agitazione
Sintomi fisici
Sfiducia
Apatia
Indifferenza
Mancanza di emozioni
Isolamento
Insonnia
Disordini alimentari
Nel mondo più di 300 milioni di persone hanno problemi di ansia. Altrettanti soffrono di disturbi depressivi. Il 10% delle donne in gravidanza o che hanno partorito da poco ha avuto episodi depressivi (dati OMS). Ma "ansia" e "depressione", oppure "stress" sono sia "nomi propri" di specifici sintomi riconducibili a specifici disturbi, sia "nomi comuni", generici, di vissuti trasversalmente attestabili in differenti condizioni, etichette generiche con le quali le persone dicono del proprio disagio.
Quando ci sono sintomi è sempre indicato un trattamento psicoterapeutico, ma la psicoterapia (e soprattutto l'analisi) non riguarda solo sintomi e disturbi, ma la crescita attraverso la ricerca del senso.
In psicoterapia, si comincia prendendo contatto con il proprio particolare modo di essere. Se sono presenti ansia, depressione stress, indaghiamo i significati che il sintomo veicola, i modi in cui è interrelato con tutti gli altri aspetti della personalità e con le problematiche della vita. Ovvero si tiene sempre conto della complessità.
Qualche esempio:
Un problema specifico: ADHD - Disturbo da deficit di Attenzione e Impulsività
Qui non siamo nel territorio dei sintomi (che pure possono esserci) e nemmeno della psicopatologia puramente "mentale": è questa una neurodivergenza, ovvero un modo permanente di funzionare che va attezionato. La presenza di ADHD, riceve immediati benefici se riconosciuta. E' uno dei casi in cui una corretta diagnosi "aiuta". All'opposto, una condizione ADHD non riconosciuta, può ingenerare ansia, problemi di autostima, depressione, ovvero disturbi secondari, se persistenti, o. sintomi, se occasionali.
Nel caso di ADHD in età adulta, anche se già trattato in adolescenza, è sempre possibile un percorso di psicoterapia; qui è rilevante conoscere e comprendere le diversità - le "neurodivergenze" - biologiche a partire da cui ci si muove. Ovvero abbiamo di fronte due possibilità: un trattamento di tipo supportivo rivolto direttamente all'ADHD, riguardante la gestione di una condizione particolare, oppure una psicoterapia riguardante altre questioni emotive, relazionali ed esistenziali, con l'obbligo però di tener conto delle specificità del soggetto in psicoterapia. Sono coè frequenti le condizioni di "comorbidità" nelle quali in un disturbo di base interviene un disturbo specifico e contingente, come ad esempio può essere un episodio depressivo, o un disturbo da panico, legato ad una fase del ciclo di vita o anche a eventi traumatici.
Un tipo particolare di ansia: l'ansia da esame
In questo caso la sintomatologia, si manifesta come direttamente correlata al contesto esistenziale. Non è un permanente e pervasivo stato di ansia generalizzato, cosa che porterebbe a poter diagnosticare il corrispondente "disturbo". Se rinuncio, evito, procrastino e mi do allo yoga, sto bene. Però il fatto è che voglio laurearmi. Siamo qui nel territorio delle "ansie da prestazione", che si manifestano in relazione ad eventi desiderati, e che dunque possono peggiorare significativamente la qualità della vita. Questo problema appartentemente "minore" può avere dirette conseguenze - indesiderate - sui propri progetto, impedendo o rallentando passaggi rilevanti per la crescita personale, la conquista dell'autonomia e l'auto-realizzazione. Per l'ansia da esame in giovani adulti, la psicoterapia individuale rappresenta la possibilità di intervenire precocemente, facendo sì che il sintomo non diventi cronico. In questi casi è opportuno un trattamento precoce.
Studiare, imparare ad imparare, approfondire, non sono solo strumenti per conseguire un titolo. Sono di per sé una "cura" e una "gioia" sulla cui base continuare a crescere e a rinnovarsi per il resto della vita. Mai rinunciare. Ottenere con serenità e determinazione dei buoni risultati: è questo l'obiettivo da porsi quando c'è un problema collegato alle performances. Quando un ostacolo rischia di impattare significativamente sul futuro la prima cosa da fare è decidere di conoscerlo meglio. Se fosse un problema risolvibile con un video motivazionale, non sarebbe un "problema".
Un tipo particolare di sofferenza di stampo depressivo: il lutto complicato.
Ci sono lutti che per le particolari circostanze in cui avvengono i fatti (ad esempio in circostanze imprevedibili o violente) o a causa del tipo di relazione che si aveva con la persona che non c'è più (per motivi strutturali, ad esempio più giovane di chi resta, oppure relazionali, se c'era un rapporto difficile) non seguono il normale decorso "tollerabile" della sofferenza umana. In caso di lutto, solitamente non si diagnostica, per almeno sei mesi, una depressione. Ma ci sono zone grigie dell'esistenza intorno alle quali scegliere di effettuare un percorso di ripensamento dell'accaduto e di stessi in relazione agli eventi, può costituire un supporto importante e prevenire esiti patologici successivi.
